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Scrittrici
in biblioteca “MADRE PICCOLA “ di CRISTINA ALI FARAH
Presentazione
a cura di Fulvia Geracioti
Un
racconto corale che abbraccia tempi, luoghi e personaggi e pur
tuttavia disegna un continuum in cui le vicende sono illuminate dai
sentimenti in un denso fluire che coinvolge chi legge sia per la
risonanza interna (come accade nel coinvolgimento della lettura) sia
per l’interesse di scoprire modalità diverse di vita e di
riflessione.
L’inizio
e la fine del libro disegnano una circolarità che l’Autrice
esprime chiaramente: SONO
UNA TRACCIA IN QUEL GROVIGLIO, IL MIO PRINCIPIO APPARTIENE A QUELLO
MULTIPLO (P.1) …..QUANDO PENSO A NOI MI SI DISEGNA NELLA MENTE UNA
COSTELLAZIONE CHE CI UNISCE E CI GUIDA ALLO STESSO TEMPO. E’ TEMPO
DI STRINGERE NODI CHE SOSTENGONO SENZA STROZZARE.
Il
libro è un intreccio, dunque, di voci e di vite, un ordito in cui
emergono tre personaggi che metaforicamente fungono da spola :
AXAD-DOMENICA, BARNI, TAAGEERE.
Il
doppio nome di A.- D. ci introduce subito in uno dei temi portanti:
quello della duplicità o meglio, della molteplicità
variamente coniugata: una giovane donna che attinge a
più mondi:
la Somalia, l’Italia, la movimentata geografia della diaspora; a
più identità vissute,
sollecitate dai rapporti affettivi: il clan familiare, il rapporto
duale con la cugina-sorella, suo punto di forza (il
mio principio è Barni),
quello travagliato con la madre, quello pacificante con il figlio,
quello con Taagere intessuto delle sfumature proprie dei legami
d’amore.
La
compresenza di sentimenti forti, coinvolgenti, e tuttavia
contrastanti è una delle cifre con cui si può leggere il
personaggio.
Axad,
figlia di un’italiana e di un somalo che ha studiato in Italia ed
è impegnato politicamente nella costruzione di un Paese libero,
racconta la sua infanzia gioiosa nella famiglia allargata dello zio,
ricca di tradizioni, di complicità tra cugini: un tessuto sociale
ed affettivo solido fino al 91, anno della guerra civile e della
conseguente diaspora che porterà lei e molti altri a cercare
rifugio in altri Paesi. La vita in esilio, pur difficile ed
emotivamente destabilizzante, non spezza il filo rosso degli affetti:
tutti i personaggi che popolano il libro raccontano con sobrio pudore
le lacerazioni, le difficoltà, il difficile adattamento. Tutto il
racconto è teso ad allargare, senza spezzare, il groviglio dei
legami, dei fili CHIARI
E BEN STRETTI, I NODI, PUR DISTANTI L’UNO DALL’ALTRO, CHE NON SI
SCIOLGONO(p.!)
un fitto scambio di pensieri, lettere, telefonate transoceaniche, un
tratteggiare le vicende del popolo somalo, attraverso la ricerca di
libertà dentro di sé, nella Somalia sotto la dittatura, nella
permanenza forzata in terra straniera, direi una fedeltà
a sé stessi e al proprio popolo che funge da Sé sovrapersonale.
Axad è,
in un certo senso, più che l’anello debole, il punto
dolente in cui emblematicamente si concentrano le contraddizioni.
Vive
drammaticamente l’appartenenza a due mondi: rifiuta la madre e
mitizza il padre somatizzando questa lacerazione con tagli
autoaggressivi sul proprio corpo; in una semplicistica chiave
psicoanalitica potremmo parlare di un Edipo familiare ma
simbolicamente sociale, identitario. La scrittura, lieve e forte,
pudica e sincera, denota il disagio attraverso l’aggettivazione
doppia, la spola di pensieri su polarità apparentemente
contrastanti. La lingua è la spia del disagio, (le afasie di Axad),
lingua materna/paterna,
QUANTE LINGUE HO DOVUTO, HO VOLUTO IMPARARE, QUA E LA’ , PER
ENTRARE DENTRO LA GENTE
(P.97) HO VISSUTO MIMETIZZANDOMI, MI HANNO LASCIATA ANCHE I
SOGNI(P.98) e ancora CERCAVO
DENTRO DI ME LE RADICI DELLE ESISTENZE.
Un incrocio indissolubile tra personale e politico stretto e
travolgente eppure alla fine del racconto -che
è poi l’inizio di una ritrovata identità-
i turbamenti si ricompongono grazie all’amore di Barni e alla
nascita del bambino.
E’
BARNI, a mio parere, il telaio che sorregge la trama, l’essere
ostetrica non è solo un elemento professionale, ma è il simbolo
della capacità di accogliere la vita, di custodire il senso profondo
dell’essere. Barni è sorella, madre simbolica, patria, per Axad
soprattutto, ma anche per altre donne, per gli uomini che
costituiscono l’anello più fragile e sono i più disorientati
nell’affrontare la diaspora.
Barni
custodisce la memoria che non è mai solo ricordare, ma capacità di
tenere insieme con salda tensione emotiva, con lucidità, con
compassione le vite sfaldate, gli errori, le debolezze di tutti, e,
con arte maieutica, aiutare a far venire alla luce la positività di
ognuna. Barni è la MADRE PICCOLA, quella che nel femminismo abbiamo
chiamato MADRE SIMBOLICA, riconoscendole il ruolo di conciliare,
riappacificare il personale e il transpersonale del Genere.
Nella figura di Barni io personalmente ritrovo i temi portanti della
politica delle donne che mi hanno fondata, mi ritorna -più chiaro e
realizzato - il tema una
donna
tra me
e il mondo quando
Axad ritrova se stessa nel rapporto con lei. Proseguendo la
comparazione con la costruzione politica-simbolica del femminismo
Barni ed Axad rappresentano, a mio parere, le due figure mitologiche
fondanti dell’essere donna, le due fasi di maturazione psicologica
rappresentate da Demetra e Kore: la madre e la fanciulla, come due
facce di una medaglia che nel rapporto consapevole danno origine
alla completezza nella terza fase di maturazione in donna, come Axad
diventa, quando la maternità la riavvicina alla propria madre, al
suo principio. Le
nostre madri erano ammalate di troppe solitudini dice
Barni
e questa compassione, o meglio questa comprensione rivela il tratto
che più mi ha colpita e commossa. Un’intelligenza del cuore che è
la vera forza . La consapevolezza dell’essere donna, vaso di
accoglienza.
La
nostra casa la portiamo con noi (..) non sono le pareti rigide che
fanno del luogo in cui viviamo una casa (p.263)
In fondo
per noi donne è molto più semplice: non è vero che facciamo la
stessa vita ovunque ci troviamo? Non continuiamo forse a prenderci
cura di qualcuno?
Il
lavoro di cura delle donne, la loro maternità e, in stretta
relazione di contiguità con essa, la cura, oserei dire il
maternage, nei confronti degli uomini-compagni introduce, per me il
tema del maschile che nel libro prende forma soprattutto nella figura
di Taageere, già marito di Shamsa, poi marito di Axad e padre del
suo bambino.
Taageere,
come gli altri personaggi maschili, è sensibile e fragile, racconta
intrecciando la propria storia inserendola in un flusso che, più che
svolgere il suo tema, avvolge
il suo vissuto in quello del suo popolo e, soprattutto, l’intreccia
nelle relazioni fondanti con la donna e con i figli. Come dice Axad
RACCONTARE E’ MOLTO LIMITANTE, VIVERE E’ TROPPO DI PIU’:
Taageere per vivere ha bisogno di rapportarsi al femminile e al
paterno, in un riconoscimento esplicitato
LA DONNA CUSTODISCE NEL SANGUE GLI INSEGNAMENTI CHE L’UOMO BEVE
(..)NOI NON SIAMO COME VOI DONNE CHE SENTITE LA CREATURA LIEVITARE,
CRESCERE DENTRO.
Il
rapporto che gli uomini hanno con le donne si sostanzia attraverso
la paternità che diventa luogo d’incontro, ma anche di conflitto
quando con uno scatto d’orgoglio e di ossessività Taageere
afferma: TE
L’HO LASCIATO CRESCERE, SONO IO CHE HO SCELTO DI FARTELO CRESCERE
(..) LO SAI CHE SIETE TUTTI E DUE MIEI, ERAVATE MIEI E LUI CONTINUA
AD ESSERE MIO. MIO FIGLIO, MIA APPARTENENZA. Evidentemente,
la
paternità è caricata di simbologia sociale, delle leggi e della
tradizione che conferiscono all’uomo la paternità come possesso,
ma mi pare altrettanto evidente che le donne e le madri non siano
disposte tout court a riconoscere il valore del “seme” se non è
accompagnato dall’impegno della cura, della compartecipazione
attiva alla crescita dei figli. Le donne li giudicano dalla costanza
e dalla fattiva presenza come si evince da affermazioni nette e
critiche :
Adesso che i figli sono grandi li voleva per portarli alla moschea?
(115) o
più decisamente Barni: SE
UN UOMO ABBANDONA SUA MOGLIE E NON SI OCCUPA DEL FIGLIO NON PUO’
PRETENDERE CHE LEI RIMANGA AD ASPETTARE, L’Islam pretende la
responsabilità dai padri. E
ancora più chiaramente: C’E’
PERSINO CHI HA IL CORAGGIO DI DIRE CHE QUESTE CREATURE DISSEMINATE
NEL MONDO SONO INDISCIPLINATE PER COLPA DELLE MADRI, SENZA
CONSIDERARE IL PADRE CHE SE NE LAVA LE MANI. La madre fa quello che
può, che esempio può dare un uomo che non sa gestire la propria
vita?(265)
Shamsa,
prima moglie di T. dice ad Axad, la sua seconda moglie, raccontandole
i motivi della sua decisione a divorziare: una
vita con tanti bambini io la tolleravo, ma dico per me, dico per
tutte, l’essere troppo e sempre una cosa, solo quella, sole al
mondo, a questo nessuna può resistere.
E, continuando, in riferimento al bisogno dell’uomo di continuare
ad essere figlio anche della propria moglie instancabilmente
desiderava la mia presenza, ma il tempo di madre non permette di
stringere nuovi legami, sono fin troppi quelli da innaffiare(114)
Ma
ci sono
molte cose dei maschi che ho rinunciato a capire: O siamo noi che ci
ostiniamo a far finta di non sapere?
La
mia rilettura del testo è ovviamente e necessariamente personale,
spero solo che non sia troppo riduttiva rispetto alla densità del
racconto, ma sicuramente è pallido riflesso della poesia, del dolore
della complessità del racconto.
Come
sapete, come abbiamo deciso tutte, non facciamo presentazioni
di libri alla maniera tradizionale, con critica letteraria, analisi
del testo ecc. : il libro è innanzitutto un’occasione per ciascuna
di mettersi a confronto con la parola e l’altro/a da sé,partendo
da sé.
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